venerdì 25 settembre 2015

le parole autonome

Le persone pazienti hanno un problema.
A un certo punto, dopo un tot di ettolitri di pazienza, finisce... e non ce n'è più.
Le persone circostanti, abituate a pulircisi i piedi sopra, a chieder loro tutto, l'utile e anche l'inutile, ci restano malissimo! Ma come, non s'era detto che quelli sopportavano tutto? Che davano il doppio di quanto richiesto? Che davano senza chiedere in cambio nulla?
Il punto è il seguente: le suddette persone si aspettano un gesto.
Cos'è un gesto?
Un'attenzione, un pezzetto del tuo tempo che dedichi a me, un fiore, un libro (anche usato, non importa).
Qualcosa di traducibile con "Ti penso, sei importante, capisco quel che mi dai".


E se invece non arriva?
Se gli interlocutori si rivelano per quel che sono, ovvero: egoisti, pretenziosi, queruli, aggressivi, scorretti, insensibili, autoindulgenti, avari (del proprio tempo e del proprio denaro)?

Oh, beh. Facile rimpiazzarli.



Intanto,c'è come un clic.
Una rotellina si gira, una catenella si muove; un contrappeso si alza, una sbarra si sposta, una leva ruota, uno sportello si apre... nel silenzio si sente una voce che dice: "Magari gli capita di avere una ricompensa uguale alla mia".

Così, i grandi amici, i nobili colleghi, i fraterni compagni, le aristocratiche sorelle, si trovano scoperti, nudi, di fronte alla propria miseria.
E non c'è nulla che possa coprirne la vergogna.
E, lasciatemelo dire: ben gli sta.





giovedì 17 settembre 2015

risvegli

Questa cosa è alquanto insolita, ma è propria della mia vita.
Periodicamente, ho come l'impressione di uscire da un lungo sonno, o forse da un lungo sogno: di svegliarmi, così, d'un tratto, di vedere le cose e le persone con occhi diversi, di chiudere un po' di situazioni, di ribaltarne delle altre, di gettarmi a capofitto in attività trascurate.
Soprattutto, la sensazione di aver perso un sacco di tempo in sciocchezze, in cose vane, e la voglia di riprendere di buona lena, anzi di più: con foga.
Di colpo, mi appare inconsistente la necessità fino al giorno prima ineludibile, di determinati rituali.
Mi rendo conto di aver sgranellato le giornate così, in modo sterile e vacuo. Me ne rammarico, individuo le ore morte di tedio, sprecate: mi propongo vivaci obiettivi, intensi traguardi.

Adesso sono in uno di quei risvegli, e ne sono entusiasta (nonostante il caldo, nonostante la fatica del lavoro). Ma so, ahimè, so, che a questa fase ne seguirà un'altra ripetitiva in cui inizierò ad avvitarmi su me stessa... fino al successivo risveglio.


venerdì 4 settembre 2015

quanta strada fa ...

... un calzino?
Sei lì, come sempre, con la tua bagnarola azzurra piena di fantasmini, calzettoni, pedalini
Il lavoro più noioso che c'è
Ci vuol mica la laurea per far questo, vero?
Però vanno scelti: per tipo, per colore.
Io poi ho un dono: li acquisto sempre a gradazione
Quindi un paio antracite, uno color torba, uno fumo di Londra, uno grigio ferro, uno grigio argento,
e poi grigio matita...
Quindi li devo stendere appaiati.
Oddio, potrei anche farne a meno, ma allora, delle due, una: o appaiarli a casaccio, colori diversi, oppure uno alla volta (aaargh! significa rimandare il lavoraccio a dopo, quando saranno asciutti)
Li metto quindi in orizzontale sui fili dello stenditoio, augurandomi che nessun vento ribaldo me li faccia volar via.
E inizio a cercare le coppie.
Una specie di Memory, insomma.
Intanto, penso a loro.
Alla strada che hanno fatto, le cose che hanno vissuto, le ore belle ( o meno belle), la voglia di tornare a casa.
Penso che li amo, i miei cari.
E non importa che è un lavoro umile e faticoso stendere i calzini.
E' per loro.